mentalizzazione

Mentalizzazione e inferenze di stati mentali nei pazienti schizofrenici

Questo lavoro indaga la rilevanza clinica delle teorie della pragmatica, tra cui la mentalizzazione, concentrandosi sui disturbi nei pazienti con diagnosi di schizofrenia con sintomatologia di tipo paranoide.

Tesi di ricerca sperimentale. Lavoro eseguito dal Dott. Pontificale Marco tra gli anni 1997 e 1998. Pubblicazione riconosciuta su riviste scientifiche.

Siamo partiti con il concetto di competenza pragmatica che permette lo scambio comunicativo tra le persone. Questa competenza, che segue uno sviluppo a partire dai primi anni di vita, sembra essere deficitaria in persone schizofreniche.

La competenza pragmatica è legata strettamente ad altre capacità cognitive, tra cui la possibilità di RAPPRESENTARSI GLI STATI MENTALI ALTRUI, vale a dire la capacità di crearsi TEORIE DELLA MENTE.

Secondo Frith la schizofrenia comprende un danno a livello delle teorie della mente e ciò si riflette in un corrispettivo deficit pragmatico. In alcuni articoli, ci fa notare che pazienti schizofrenici con sintomatologia di tipo PARANOIDE incontrano qualche difficoltà nell’attribuire la giusta intenzionalità ad un’azione o ad una frase, in rapporto ad un determinato contesto.

In questo lavoro vogliamo verificare se il deficit pragmatico degli schizofrenici possa dipendere da un corrispettivo deficit a livello della capacità di crearsi teorie della mente.

IPOTESI 1: per cogliere la giusta intenzionalità di un gesto o di una frase è necessario potersi creare delle teorie della mente riguardo alla persona che agisce con una determinata intenzione e allo stesso tempo è importante tenere conto del contesto in cui ciò avviene. Noi ci aspettiamo un deficit a questo livello nei pazienti schizofrenici.

IPOTESI 2: il paziente schizofrenico sbaglia maggiormente dove la frase ha senso solo in rapporto ad un determinato contesto condiviso dai parlanti. Più il contesto è complesso da inferire e si distacca dal significato immediato, più il soggetto dovrebbe sbagliare.

METODO
Costruzione di 3 protocolli in grado di stimolare la competenza a livello delle teorie della mente e di evidenziare un eventuale deficit nei soggetti. Per accertarci della validità dei protocolli abbiamo sottoposto i soggetti ad una serie di TEST NEUROPSICOLOGICI. Non sono stati riscontrati deficit linguistici, mnemonici o logici tali da poter impedire la giusta comprensione dei PROTOCOLLI SPERIMENTALI.

SOGGETTI
6 pazienti schizofrenici di cui 3 con diagnosi di paranoia all’esordio.
6 persone, che costituiscono il gruppo di controllo, simili per sesso, età e scolarità.

PROTOCOLLO 1

INTENZIONALITA’. Lo scopo del primo protocollo sperimentale è di verificare se i pazienti schizofrenici incontrino difficoltà nell’inferire la giusta intenzionalità di un’azione o di una frase e se effettivamente esista una differenza nell’attribuzione dell’intenzionalità fra pazienti schizofrenici con diagnosi di paranoia ed altri pazienti schizofrenici con diagnosi differenti.
Il protocollo consiste in 14 frasi che raffigurano ciascuna una situazione diversa in cui un personaggio agisce o dice qualche cosa con una intenzione nei confronti di un altro personaggio. Al soggetto, dopo che gli è stata letta la frase, viene domandato quale sia stata l’intenzione che ha mosso il personaggio protagonista.
L’idea è di mettere il paziente nella condizione di crearsi una teoria della mente riguardo ai vari personaggi che figurano nelle frasi. Per capire l’intenzionalità di una persona il soggetto deve essere in grado di collegare il contesto e lo stato mentale relativi ad una azione.
RISULTATI: più volte la corretta intenzionalità del personaggio di una frase non è stata colta in modo appropriato dai pazienti. Il perché di certe azioni o frasi è stato mal interpretato da più pazienti in diverse occasioni.
ES: Siamo in alta montagna: uno scalatore è scivolato in un crepaccio rompendosi una gamba; il suo compagno corre via velocemente. Perché l’altro scalatore si allontana? R:“Perché è un infame”oppure: ”corre verso l’altra montagna perché vuole ancora salire sulla montagna”.

PROTOCOLLO 2

CONTESTUALIZZAZIONE. In questo protocollo lo scopo è valutare la capacità degli schizofrenici di inferire il contesto di una particolare frase. Il test consiste in 14 frasi il cui significato immediato non è chiaro se non viene legato ad un particolare contesto che deve essere intuito.
Alcune frasi sono state costruite con l’ausilio di modi di dire tradizionali della nostra lingua, modi di dire che hanno senso solo in determinati contesti. Compito dei soggetti è di spiegare, per ciascuna frase, il motivo per cui un personaggio abbia fatto o detto qualche cosa.

RISULTATI: alcuni errori in questo test hanno evidenziato come talvolta i pazienti non siano riusciti a collegare il significato di una frase ad un contesto particolare. Solo i pazienti hanno sbagliato.
Esempio: Per strada un signore dice ad un altro:” Mi fanno scoppiare le orecchie”. Perché questo signore dice così? R: ”Perché ha la radio con il volume alto” oppure: “Perché lo insultano”.

PROTOCOLLO 3

CORTESIA. Lo scopo del terzo protocollo è testare la capacità degli schizofrenici di elaborare da un determinato contesto un appropriato grado di cortesia. Per gestire questa particolare abilità linguistica, il soggetto deve essere in grado di analizzare il contesto di enunciazione e gli stati mentali degli interlocutori.
Il protocollo è stato suddiviso in due parti: la prima verifica il grado di comprensione tramite 7 frasi raffiguranti delle situazioni comuni, ognuna seguita da 3 possibilità di scelta. Una sola è giusta e va abbinata alla frase. La seconda parte verifica invece l’abilità di produzione di frasi cordiali. 7 frasi che rappresentano delle situazioni in cui il soggetto deve immaginare di trovarsi; il compito consiste nel generare una frase appropriata alle varie situazioni secondo le norme della cortesia.

RISULTATI: l’ultimo test non ha presentato errori in nessun caso da parte dei pazienti: essi non mostrano difficoltà nel capire o formulare frasi cordiali contestualmente adeguate.

CONCLUSIONI

La natura qualitativa di questi protocolli e l’esiguo numero dei soggetti esaminati non hanno permesso la formulazione di inferenze e dati di tipo statistico. Pertanto si sono confrontate le risposte dei pazienti con quelle dei controlli da un punto di vista descrittivo. Questo approccio ha messo in evidenza alcune interessanti divergenze.
I soggetti di controllo non hanno mai risposto in modo “bizzarro” come invece hanno fatto alcuni pazienti, inoltre spesso le risposte di questi ultimi hanno evidenziato il fatto che l’intenzione o il contesto ricercati non fossero stati colti.
I dati fino ad ora raccolti non evidenziano grossi deficit a livello delle teorie della mente; per ciò che concerne l’ipotesi sulla intenzionalità, dove gli errori sono stati più marcati, si potrebbe supporre una certa difficoltà.
In quanto questa si propone come una ricerca pilota, servono ulteriori dati per azzardare delle statistiche e una ulteriore revisione dei protocolli.
I pazienti testati erano tutti in fase di guarigione; ciò potrebbe far pensare che i DEFICIT PRAGMATICI siano più accentuati nei momenti più acuti della malattia per poi migliorare con un decorso positivo. La ovvia e attuale impossibilità di testare questi pazienti in fase acuta ci lascia per ora questo dubbio.

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